Nessuno può dichiararsi esente da errori per definizione. Purtroppo, e/o per fortuna, ci sono -sempre- margini più o meno elevati tra ciò che consideriamo “esatto” e ciò che in realtà facciamo.
E’ la tolleranza, e corrisponde alla differenza che riteniamo ammissibile. Il solito esempio può essere d’aiuto: se un oggetto deve essere lungo un metro posso, a seconda dell’attività in essere, accettare che il pezzo sia più lungo o più corto della misura teorica di un certo valore, ad esempio un centimetro o un millimetro ma potrebbe essere anche un decimo di millimetro o altro.
In tutte le nostre attività si ripete questo schema: dato teorico contro dato reale.
Anche in ambito apparentemente molto diversi, come nello scrivere e nel parlare, possiamo leggere o sentire proclami, discorsi o altro che non corrispondono al contenuto. Il che è ovviamente più o meno grave, di nuovo un problema di tolleranza, cioè di differenza.
Ma che dire quando perfino i titoli non corrispondono al contenuto o non sono chiari (nemmeno quelli!) o addirittura errati?
Come è possibile voler insegnare se non siamo nemmeno in grado di riportare correttamente il titolo del corso sul manifesto?
Certo non vi è coincidenza tra chi insegna materialmente e chi scrive questi titoli, manifesti e via dicendo però è grave lo stesso: invitare ad iscriversi ad un corso ad olio ed a quello ad acquerello non è normale e non è solo errato. Il fatto che sia uno specchio dei tempi non migliora la cosa, anzi spiega lo sfacelo diffuso!
autore: Massimo Meneghin
#contentmarketing e #contentstrategy: se perfino i titoli contengono #errori, come saranno i #contenuti?