Costruire e demolire sono uno il contrario dell’altro.
Nella prima sembra esserci positività, nell’altra la negazione.
Siamo abituati a ritenere di valore il fare, l’aggiungere, il raggiungere lo scopo, cioè il comportarsi come si fa quando si costruisce.
Di nuovo, demolire il lavoro altrui, il pensiero di chi è diverso o la cultura sono considerati -al contrario- indegni di un paese civile.
Nel nostro ambiente non è così diverso. Si fa, si aggiunge, si sopraeleva, al massimo si demolisce per rifare doppio. Non basta arrivare alla saturazione in orizzontale, la vogliamo pure in verticale.
Il risultato è stato un certo benessere a fronte del rovinare ambienti di valore inestimabile, nel piccolo e nel grande.
Di rimozione di parti “indescrivibili” non si può nemmeno parlare, nemmeno se si tratti di costruzioni sulle pendici del vulcano o nell’alveo del fiume. Si tratta di aree generalmente di notevolissimo valore paesaggistico ed altrettanto elevato pericolo, come è tollerabile qui un edificio di bassissima qualità? Come si può ritenere che il problema sia spillare quattro soldi di tasse, magari per sanarlo, e dopo come fornirgli i costosissimi servizi?
Si dice che non si deve più costruire, ma potrebbe non bastare. Serve, infatti, una strategia di demolizione e forse è utile specificare che si parla di fabbricati non della politica di distruzione sociale in atto, quella è un’altra cosa!
autore: Massimo Meneghin
non basta smettere di #costruire, bisogna iniziare a #demolire (i fabbricati, non i rapporti sociali…)